L’università nello stato di emergenza

[English below]

Fare un passo in più con il pensiero, pensare in modo diverso, verificare i nostri pensieri e riconoscerne i limiti e poi superarli, questa è la libertà di pensiero. Il nostro pensiero non diventa libero quando lo usiamo per predicare la libertà, ma piuttosto quando pensiamo liberamente e continuiamo a lavorare per espandere i limiti del nostro stesso pensiero, quando consentiamo agli altri di pensare per sé stessi, quando aggiungiamo ogni volta qualcosa di nuovo e andiamo oltre, quando riconosciamo i nostri limiti e li superiamo.

Yassin al-Haj Saleh, Libertà: casa, prigione, esilio, il mondo,trad. Monica Ruocco, Terra somnia editore, Tricase (Lecce), 2021, p. 59.

La ministra dell’università e della ricerca Cristina Messa ha sconfessato ieri (2 marzo 2022) l’intempestivo zelo della rettrice e del prorettore alla didattica dell’università di Milano Bicocca, che avevano deciso di rimandare un corso su Dostoevskij allo scopo di “evitare ogni forma di polemica, soprattutto interna, in quanto è un momento di forte tensione”. La ministra ha infatti puntualizzato che “il Ministero promuove il ruolo delle università come luogo di confronto e di crescita comune, ancora di più in una situazione così delicata”. Questa dichiarazione, così come la pronta reazione dei politici, è ragione di sollievo. Questa vicenda, tuttavia, resta comunque il sintomo dell’attuale incertezza sul ruolo dell’università e sugli spazi di discussione democratica al suo interno e più in generale nella società. Come ha commentato Serena Vitale, i responsabili dell’Università Bicocca, con la loro scelta iniziale, volevano essere “più realisti del re”. Lo hanno fatto allineandosi maldestramente alle pressanti spinte all’unanimismo che la Commissione Europea e il governo italiano stanno facendo con mezzi retorici e legali. Il timore di “polemiche” dell’Università Milano Bicocca è infatti contemporaneo alla decisione della Commissione Europea di mettere al bando in Europa i media finanziati dallo stato russo, che Ursula von der Leyen ha giustificato dichiarando “non li lasceremo seminare i semi della discordia nella nostra Unione” (Anna Maria Merlo, Il Manifesto 3 marzo 2022).

“Coesione”, “fermezza”, “unità” sono anche parole chiave del discorso del 1° marzo con cui il Presidente del Consiglio italiano ha annunciato al Parlamento, citando il neo-conservatore americano Robert Kagan, la fine dell’“illusione” pacifista – alla lettera “Come aveva osservato lo storico Robert Kagan, la giungla della storia è tornata, e le sue liane vogliono avvolgere il giardino di pace in cui eravamo convinti di abitare”.

Chi abbia seguito con un minimo di attenzione gli ultimi trent’anni di guerra in Medio Oriente non si è mai cullato in queste illusioni. Chi lo fa professionalmente nel nostro paese, come gli iscritti all’associazione di cui facciamo parte – SeSaMO, sta facendo da anni l’esperienza di una crescente divaricazione fra la retorica ufficiale e della comunicazione di massa – improntata allo “scontro di civiltà” – e gli strumenti di analisi scientifica propri dei molteplici approcci disciplinari coinvolti nel nostro ambito di studi (scienze politiche e sociali, storia medievale e contemporanea, lingue e letterature dell’Africa e dell’Asia, linguistica, antropologia, storia intellettuale e religiosa; studi giuridici ed economici, geografia, ecc.). Questa divaricazione non è negativa, nella misura in cui riflette una distinzione di compiti fra il potere esecutivo e la ricerca scientifica. Se i governi non possono fare a meno di slogan per giustificare le loro scelte, è precisamente compito dei ricercatori e dei docenti fornire diversi strumenti di lettura della realtà. Se i governi predicano la libertà, ricercatori e docenti hanno il compito di praticarla. Questo esercizio non è mai stato facile. Non è uno status ma una vocazione. Molti fattori, nell’università azienda, contribuiscono a mortificarla. Le reazioni dei docenti sono state minime. Un acuito senso di precarietà contribuisce a intimidire e ad aggravare l’isolamento di chi lavora nell’università. La competizione produttivistica riduce gli spazi anche mentali per ragionare insieme sulla situazione presente.

L’enfasi dei vertici europei sull’accoglienza ai profughi ucraini in nome della loro comune appartenenza ai nostri “valori”si riflette sulla copertura giornalistica della guerra (si veda, ad esempio, il comunicato dell’Associazione dei Giornalisti Arabi e del Medio Oriente), e viene tradotta sul terreno, alle frontiere fra Ucraina e Polonia, nel respingimento di profughi provenienti dall’Africa e dal Medio Oriente, con una prassi che contravviene alle disposizioni della commissaria europea agli Affari Interni. Queste pratiche sono in flagrante contraddizione con il diritto europeo e internazionale, ma non con le pratiche di governo dell’Unione. E sono in perfetta sintonia con la retorica ufficiale sui “valori”. “Il Foglio” ha tradotto crudamente, e con compiacimento, il riferimento del Presidente del Consiglio italiano alla “giungla della storia”, in questi termini: “Il referendum ormai non è più tra la Russia e l’Occidente ma tra i selvaggi e civili”.

Come studiose particolarmente sensibili ai disastri che questa retorica ha accompagnato e favorito fuori dal nostro “giardino di pace” e all’interno di esso (in particolare nelle politiche sull’immigrazione), esprimiamo viva preoccupazione per la crescente affermazione di un linguaggio che non lascia nessuno spazio alla libertà del pensiero. Mentre condanniamo la guerra come strumento di offesa alla libertà dei popoli e di risoluzione delle controversie internazionali  e solidarizziamo con la popolazione civile ucraina la cui sovranità è stata aggredita in maniera ingiustificabile, riteniamo che sia anche giunto per le associazioni di studi come la nostra (e non solo), di aprirsi a un confronto per fare il punto sullo stato di salute della libertà di ricerca nel mondo accademico.

Proponiamo di unire le forze per organizzare giornate di studio, di riflessione, di discussione attiva per un confronto dentro e fuori le università che dia voce al pensiero critico, ora più che mai necessario, ed invitiamo tutte le associazioni di studio che condividono le nostre preoccupazioni a contattarci all’email segreteria@sesamoitalia.it

Direttivo SeSaMO (Società Italiana di Studi sul Medio Oriente)

[English]

Academia and the State of Emergency

“Thought that sets forth a step; thinking differently, examining our thoughts and revealing their limitations, laboring to break those boundaries; this is freedom of thought. Our thought is not free when we use it to preach freedom, but to think freely. When we contribute to the renewal of thought, we allow others to work on and develop our thought, to surpass it and show its limitations and ultimately to abandon it.”

Yassin al-Haj Saleh, “Freedom: Home, Prison, Exile…the World” (Translated from Arabic by Rana Issa).

On March 2, the Italian Minister of University and Research Cristina Messa disowned the untimely zeal of the Rector and Vice-Rector for Teaching and Learning of the University of Milan Bicocca who decided to postpone a course on Dostoevskij in order to “avoid polemics, especially internally, at such a time of strong tensions” in relation to the Russian invasion of Ukraine. She hastened to point out, in fact, that “the Ministry promotes the role of Universities as realms of exchange and improvement, the more so in such a delicate situation”. This statement, and the prompt reaction by politicians to the decision of postponing the teaching module, is a reason for relief for us.  Nonetheless, this episode remains symptomatic of the uncertainty that we feel about the role of the Academia and the spaces for democratic debate within it and in our societies more generally. As Serena Vitale noted, the governance officials at Milano Bicocca meant to be “more Catholic than the Pope”. They clumsily did so, aligning with the mounting unanimous rhetorical as well as legal pressure that both the European Union and the Italian government are exerting on how Russia should be approached. Milano Bicocca’s concern with “polemics” comes together with the decision by the European Commission  to ban Russian-funded media all over Europe, a decision Ursula von der Leyen justified by saying “we won’t let them sowing the seeds of discord within our Union”.(Anna Maria Merlo, Il Manifesto 3 marzo 2022 https://ilmanifesto.it/lue-chiude-la-tv-rt-e-sputnik-informazione-tossica/).

“Cohesion”, “steadfastness”, “unity” are the keywords of the speech given by the Italian Prime Minister on the 1st of March last. During that speech, Draghi, quoting the neo-con thinker Robert Kagan, announced to the parliament the end of the “pacificist illusion”- verbatim “As the historian Robert Kagan noticed, the ‘jungle of history’ has grown out unexpectedly and its vines and weeds are again at work to undermine the peaceful garden we once thought we lived in”.

Those who have followed with some attention the wars in the Middle East over the past thirty years have never indulged in such fantasies about living in a garden of peace. In Italy, those who have done so because of their profession, such as the members of the Association we belong to-SeSaMO, have long experienced the ongoing bifurcation between the official rhetoric of mass communication- which is all about the “clash of civilizations”- and the analysis they have produced using the multiple disciplinary approaches of our area studies (political and social sciences, medieval, modern, and contemporary history, African and Asian languages and literatures, linguistics, anthropology, intellectual and religious history, juridical and economic studies, geography, etc.) Such bifurcation is not negative, inasmuch it reflects the labour division between the executive power and scientific research. If governments can’t but use slogans about clashing civilizations to justify their choices, researchers and teachers have a duty to provide different tools to make sense of reality. If governments preach liberty, researchers and teachers must practice it. This has never been an easy task. It is not a status, but an everyday commitment. Many factors, within the corporate Academia, contribute to mortify this commitment. A strong sense of precariousness is widespread and leads to forms of more or less explicit intimidation and an intense feeling of isolation. Competitiveness over academic productivity reduces both the physical and mental space for collective reflection over the present situation.

The hospitality demonstrated by the highest European authorities to Ukrainian refugees in the name of our shared “values” mirrors the ongoing media coverage of the war (see as an example the communiqué by AMEJA, the Association of Arab and Middle Eastern Journalists). On the ground, at the border between Ukraine and Poland, it translates into the refoulement of other refugees, those coming from Africa and the Middle East, in a continuous infringement of the regulations established by the EU Home Affairs Commissioner. This practice is in blatant contradiction with international and European law, if allowed by the European authorities, and clearly goes hand in hand with the rhetoric about the “shared values” as pushed in the Italian press. “Il Foglio” conveyed the meaning of Draghi’s quotation about the “jungle of history” as crudely and complacently as the following: “by now the choice is no longer between Russia and the West, but between savagery and civilization”.

As scholars who are sensitive to the tragedies this rhetoric causes and favors both outside and inside our “garden of peace” (especially when it comes to immigration policies ), we express our deepest concern about a language which leaves no room for freedom of thought. While we condemn war as an instrument of offence of people’s liberty and a method of resolving international controversies and sympathize with the Ukrainian civil population whose sovereignty has been illegitimately assailed, we also think that it is time for study associations like ours to take a resolute stand against the increasing militarization of language and to open a frank debate about the state of freedom of thought and speech in the Academia.

We propose we all join forces in organizing occasions for reflection and debate as safe spaces for the articulation of critical thinking, something we badly need at present, both inside the Academia and in the public space. We invite all scholarly associations sharing our concern to get in touch with us at segreteria@sesamoitalia.it

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